Il ruolo della famiglia durante la Dipendenza e durante la riabilitazione
Per aiutare un proprio familiare affetto da Dipendenza è utile utile rivedere alcune delle posizioni in cui viene a trovarsi la famiglia. Sono modalità comprensibili sul piano umano, ma possono creare difficoltà nel processo di aiuto.
La famiglia che controlla:
Le reazioni dei familiari, umane, comprensibilissime, sono complesse: dolore, rabbia, frustrazione, impotenza, speranza, delusione e così via. Questi sentimenti, spesso frutto dell’esasperazione, danno origine ad alcuni comportamenti che, visti da vicino, si rivelano inutili o addirittura dannosi.
Quando si accorgono dei suoi eccessi, i familiari spesso reagiscono cercando di impedirgli di bere o di giocare o assumere sostanze, nascondendogli le bottiglie, i soldi o spiandolo, dando luogo spesso al drammatico gioco di guardie e ladri.
Mentre loro tendono a vigilare ed inseguire, lui reagisce sfuggendo sempre di più ed escogitando ogni più raffinato sistema per eludere la sorveglianza. E’ un gioco pericoloso perché il dipendente riuscirà sempre a vincere: è impossibile, di fatto, impedire ad una persona di assumere o fare qualcosa se vuole continuare a farlo.
E’ bene quindi che un familiare sappia che, al di fuori di un programma terapeutico, è impossibile impedire solo con un controllo fisico che il proprio caro vada avanti con gli abusi. Questa modalità oltre che essere inutile è anche pericolosa perché rinforza la condizione di
irresponsabilità del del dipendente, il quale alla fine pensa che il problema non è suo, ma dei familiari: sono loro che vogliono che lui smetta mentre lui non ne vede proprio il motivo e quindi si sente implicitamente autorizzato a proseguire nel suo atteggiamento.
La famiglia che accusa:
Altre volte la reazione della famiglia può essere quella del rimprovero e delle accuse. Il dipendente viene attaccato e rimproverato ogni volta che lo si vede alterato o che ha giocato. Ma anche questo sistema alla fine non funziona perché, come sappiamo bene, finché una persona
non è motivata a fare un cambiamento niente e nessuno potrà obbligarlo.
In questo caso il pericolo è di fornirgli ulteriori alibi per continuare a motivare la sua dipendenza: “assumo (o gioco) perché mi rompete le scatole”, “sono costretto a bere nei bar perché se tocco un goccetto in casa mi saltate alla gola” ecc.
Questo non è vero perché andrebbe avanti lo stesso anche se viene lasciato in pace. Quando c’è la dipendenza deve proseguire e basta. Le spiegazioni sono motivazioni solo apparentemente razionali.
La famiglia che nega:
Dopo i primi tentativi infruttuosi può capitare che i familiari facciano finta di niente, ignorando e tollerando tutto anche per evitare litigi furiosi e violenze da subire. Spesso il coniuge fa così per trovare un compromesso, per il bene dei figli, per il quieto vivere e così via.
La situazione si assesta su un modus vivendi che possa assicurare a tutti un minimo di vivibilità e che possa dare la speranza che, col tempo, il dipendente riduca spontaneamente.
Non è così purtroppo: egli continua perché la malattia segue il suo corso e, in aggiunta, il malato si
deresponsabilizza sempre di più.
La negazione del problema da parte dei familiari rafforza nel dipendente la convinzione che, non
essendoci pericolo, può continuare. La negazione può anche indurre a concedere involontarie complicità o coperture: ad esempio scusarlo con gli amici se si è comportato male con loro perché è un po' stressato dal lavoro; oppure uscire a comprargli da bere o prestargli denaro, altrimenti cosa succederà.
Proteggerlo telefonando per dire che è malato mentre è alterato o reduce da un abuso della sera prima. Se chiamasse lui i colleghi si accorgerebbero che ha bevuto e che figura farebbe?.
Questa protezione fatta a fin di bene finisce per diventare un male, perché diventa un fattore che contribuisce a mantenere la malattia: se un problema non viene alla luce non potrà mai essere affrontato e risolto. In questo modo lo si fa incancrenire e quando, in ogni caso, salterà fuori giacché la malattia avanza, sarà forse troppo tardi per cercare dei rimedi.
Il dipendente ad un certo punto della sua malattia tende a delegare le sue responsabilità perché non ce la fa a portare avanti i suoi compiti e spesso i familiari, nell’intento di aiutarlo, accettano le sue deleghe. La spinta è ancora una volta l’affetto o il quieto vivere, ma può essere pericoloso in quanto egli si deresponsabilizza sempre di più e si isola nel suo mondo.
Attenzione poi ai sensi di colpa: il dipendente spesso attribuisce la causa dei suoi problemi agli altri: è tutta colpa degli altri se il suo lavoro non va bene, è colpa del coniuge se non è felice, è la famiglia la causa delle sue preoccupazioni. E, alla fine arriva ad attribuire agli altri perfino la causa dei suoi abusi.
Ogni piccola cosa che può dargli fastidio verrà usata per far sentire in colpa gli altri.
Non vuole sentire i problemi della famiglia, le responsabilità dei figli, del bilancio famigliare ecc. Spesso i familiari senza volerlo si sentono causa del suo malessere e, per evitargli sofferenze, tendono a compiacerlo in tutto.
Anche questo atteggiamento è inutile perché non è vero che ogni problema abbia la sua causa all’esterno: se la persona ha una dipendenza i motivi non sono all’esterno. Questa ricerca di un capro espiatorio impedisce di rendersi conto che il problema principale dei propri guai è dentro di sé e non fuori. Non ammettendolo non ci si renderà mai conto delle conseguenze dei propri comportamenti e quindi non è possibile decidere di cambiarli.
Aiutare il dipendente a farsi aiutare. Toccare il fondo.
Per sapere come è meglio comportarsi per dare il proprio aiuto, bisogna prima di tutto ricordare che si può aiutare un dipendente solo spingendolo a rendersi conto che il problema è suo e non degli altri. Egli deciderà di smettere quando sentirà che è lui a volerlo fare. Se dovesse farlo solo per aderire alle insistenze dei familiari non lo farebbe mai.
Lo si può aiutare accompagnandolo a “toccare il fondo”, aiutandolo cioè a rendersi conto che non può andare avanti così, che negare o ingannare gli altri non serve, che è lui ad avere un problema e che questo lo sta distruggendo. Il messaggio è: “se vuoi continuare noi non possiamo impedirtelo ma neppure vogliamo essere complici della tua distruzione. Se vuoi andare avanti su questa strada devi proseguire da solo, noi non ti aiuteremo a distruggerti, sei già fin troppo capace a farti male da solo.”
Bisogna quindi evitare di fornirgli alibi, sentendosi colpevoli delle sue azioni, come quando il malato dice “assumo perché mi fai arrabbiare”. Bisogna ricordarsi che non è vero: “tu assumi perché non ne puoi fare a meno, perché sei malato”.